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intendo venirci a cena questa sera».
Così voglio dire a te, Giovanni mio: tu hai errato a
manomettere una botte di vino e venderla sanza dire
nulla a persona o invitare ignuno tuo amico per carità. E
per ricomperare il tuo onore noi siamo venuti qui, Anto-
nio dal Ponte e questo altro compagno e io a bere teco, e
vogliamo assaggiare quello vino tu hai venduto alla Si-
gnoria  .
Letteratura italiana Einaudi 96
Motti e Facezie del Piovano Arlotto
Con uno lieto e giocondo viso gli ricevé volentieri e
dette loro da bere di quello vino; e pregolli, in mentre la
botte durasse, venissino ogni dì a bere con lui e disse al
Piovano:
 Perdonatemi dello avere io errato a non vi invitare;
rimarrò a ristorarvi tanto il debito si cancelli.
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Facezia LXV: il Piovano Arlotto insegna incantare la nebbia a
ser nastagio Vespucci e al Zuta Sarto.
Ser Nastagio Vespucci e  l Zuta sarto si scontrarono
una mattina di buona ora insieme.
Dice ser Nastagio:
 Io mi sento questa mattina non buono istomaco e se
io bevessi uno gotto di buona malvagìa io sarè guarito.
Dice il Zuta:
 Io ho ancora gran sete e vorrei bere e non vorrei
ispendere danaio; se voi volete e mi dà l animo di fare
pagare uno boccale di malvagìa al Piovano Arlotto che
debbe venir qui fra una mezza ora a provarsi uno man-
tello gli fo.
Disse ser Nastagio:
 E non ti riuscirà perché il Piovano è fante isturato.
Appunto in questi ragionamenti viene lì il Piovano
Arlotto e dice:
 Iddio vi dia il buon dì.
Disse il Zuta:
 Piovano mio, voi siate il benvenuto; a me pareva
mille anni voi arrivassi qui, per rivelarvi un grande se-
creto d una visione m è venuta questa notte in sull ora
del mattutino. Apparvemi vostro padre e salutommi e
disse: «Io sono Matteo Mainardi, padre del tuo Piovano
Arlotto; vorrei che domattina tue lo trovassi, e digli co-
me io sono in purgatorio e che continue ardo e se egli dà
Letteratura italiana Einaudi 97
Motti e Facezie del Piovano Arlotto
per Dio per l anima mia soldi. 12. di piccioli io esco di
purgatorio e di queste pene del fuoco. Io mi ti racco-
mando». Io non dormì poi, Piovano mio, e istamane a
buona ora mi levai e andai alla Nunziata udirvi una mes-
sa, la quale io feci dire per la anima sua e ispesi soldi
dua. Piovano, io vi conforto facciate questo bene e pre-
sto, avvisandovi che voi no gli potresti ispendere meglio
che in pagarci una metadella di malvagìa a ser Nastagio
e a me.
Disse il Piovano:
 Come io venni qui, m accorsi che tu mi volevi lavo-
rare; non conosco io ser Nastagio e te? Vedi se tue far-
netichi: cognoscesti tu mio padre?
Disse il Zuta:
 Io lo cognobbi e fu uno uomo dabbene e uno reale
mercatante.
Rispose il Piovano:
 Tu non lo conoscesti, né mai lo vedesti. Mio padre
fu uno ribaldo e morì nelle Istinche e se viveva più otto
dì gli era impiccato; io non ispenderei per lui uno pic-
ciolo, ma se voi dua mi volete pagare uno boccale di
malvagìa per noi tre io vi voglio insegnare uno incanto
alla nebbia, cioè contro a essa della mattina, che mai
non vi offenderà.
Andò il fatto per il contradio e non tenne la pania,
ché ser Nastagio e  l Zuta la pagorono a lui, ed il Piova-
no insegnò loro lo incanto contro alla nebbia in questo
modo, dicendo:
 Togliete una tazza grande piena di malvagìa e dite
dua volte:
Nebbia nebbia mattutina
che vien sempre la mattina,
una tazza di malvagìa
contro a te è vera medicina.
E poi tira giù tutta quella tazza e mai non ti nocerà.
Letteratura italiana Einaudi 98
Motti e Facezie del Piovano Arlotto
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Facezia LXVI, della predica di Don Lupo.
Portorono una volta le galeazze nostre certi gentili
uomini catelani da Napoli in Catalogna, tra li quali
amalò uno di loro, il quale si domandava don Lupo, e in
fra pochi dì si morì.
Accostoronsi a una terra, e secondo il luogo gli fecio-
no onore e volle il capitano che  l Piovano predicasse al
corpo morto, come s usa fare a Firenze.
Montò in pergamo il Piovano e disse queste parole:
 Indegnamente io sono istato assunto qui a predica-
re: e per comandamento del nostro capitano e contento
di quest altri nobili uomini, io dirò alquante parole.
Temete Iddio e osservate i suoi comandamenti.
E si suole dire qualche cosa in loda del morto, quan-
do ha lasciato qualche buona fama di sé nel mondo. E
sono, tra gli altri animali, quattro che hanno questa virtù
e proprietà: uno è buono vivo e non morto, e questo è
l asino; l altro è buono morto e non vivo, e questo è il
porco; l altro è buono vivo e morto, e questo è il bue;
l altro, che è il quarto, non è buono né vivo né morto, e
questo è il lupo.
Questo corpo ebbe nome Lupo e fu catelano; non so
che bene io me ne possa dire e però mi tacerò, e farò fi-
ne alla mia predicazione. Pax et benedictio, amen  .
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Facezia LXVII, d uno sarto e del Piovano; e il quale aveva male e
 l Piovano lo confessa.
Era uno sartore, amico al Piovano Arlotto, istato lun-
go tempo suo vicino in Firenze; aveva nome di essere
buono maestro della sua arte, ma fama trista d essere la-
dro e cattivo.
Letteratura italiana Einaudi 99
Motti e Facezie del Piovano Arlotto
Qualche volta il Piovano l aveva ripreso, benché poco
giovasse. Avvenne che uno giorno si ammalò d una peri-
colosa e continua febre, la quale fu lunga che durò circa
a tre mesi. Ed alla fine sempre peggiorando, né si voleva
confessare, né prendere comunione, di che il Piovano
molte volte lo riprese.
E istando in quest ostinazione, una notte sognò che
gli pare vedere uno uomo con una bandiera in mano e
invitavalo ad andare con esso lui: la bandiera pareva di-
pinta di molte ragioni di colori, quasi di tutti quelli varii
si potevono trovare.
La mattina destatosi tutto ispaventato mandò per il
Piovano Arlotto e narrògli tutto il fatto.
Rispose il Piovano:
 Tu se ostinato e ogni dì peggiori e non ti vuoi ri- [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]

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